La montagna di un tempo
- Stefano

- 13 ott
- Tempo di lettura: 5 min
Un'altra epoca, in un mondo lontano.

Amo viaggiare nel tempo, all'interno di quel mondo sbiadito di vecchie cartoline e di immagini che rimangono impresse nella mia mente come un ricordo indelebile e lontano. Amo vivere ancora oggi la montagna di un tempo, quella che ora rimane ai posteri con quelle vecchie foto in bianco e nero, dove poter fermare attimi in cui la montagna e i suoi paesi erano ancora molto lontani dai luoghi comuni.
Se avessi tra le mani il potere di una macchina del tempo, vorrei poterla programmare a 100 o forse più anni indietro. Poter scegliere in cui rimanere sospeso all'interno di quel secolo il necessario per muovermi all'interno di quei paesi, di quei sentieri e di quei primi rifugi in alta quota di una montagna che ormai non esiste quasi più. Lo stretto necessario per capire che tornare al giorno d'oggi non ne vale più la pena. Un possibile e ipotetico viaggio di sola andata.
Ricordo perfettamente quelle mie prime esperienze su quei miei primi sentieri che da ragazzino affrontavo in compagnia di mio Papà, fautore e mentore di ciò che poi la montagna, e le Dolomiti in primis, è finita per arrivare a essere una passione e un vero stile di vita. Ricordo quei primi e facili cammini che di solito guardavano agli alpeggi, ai masi immersi nel verde delle quote maggiori e quei primi rifugi che con il passare del tempo sono diventati la mia seconda casa.
Non sono passati secoli ovviamente, ma quel minimo necessario per fermare nella mia mente istanti in cui il fieno veniva ancora e integralmente raccolto a mano, e dove la presenza degli animali al traino erano ancora una realtà e non ancora sostituiti dai mezzi meccanici. La stagione estiva era animata da tanta gente, da intere famiglie che all'interno di queste spalle erbose si dividevano compiti e responsabilità. Uomini e Donne che attrezzi in mano vivevano la bellezza di questi luoghi, ripetendo gesta e movimenti antichi e tramandati di generazione in generazione.
Le mie erano lunghe pause per osservare e fermare dei momenti di normale quotidianità, ma che con il passare degli anni hanno assunto dei valori immensi. Il tempo certo. Solo anni dopo ho percepito quanto valore avessero quei momenti di normale quotidianità, anni in cui iniziavo a capire che la montagna stava cambiando anche in modo irreversibile e purtroppo fuori controllo.
Se guardo ora quelle ampie spalle erbose dell'epoca, quelle vaste distese d'erba dove l'animale al traino era ancora dispensabile, nella maggior parte dei casi vedo tralicci e cavi d'acciaio di funivie dedite agli impianti invernali, e moderni mezzi meccanici che inevitabilmente hanno sostituito quei traini del tutto naturali che per secoli hanno ubbidito lealmente al comando dell'uomo. Ciò che all'epoca radunava decine di persone al cospetto del sole più bello e caldo della stagione, ora si limita a un numero minimo e quasi irrisorio, dove la macchina stessa ha nel tempo cancellato quella vitalità che la vecchia montagna sapeva regalare.
Sembrano sparite nel nulla quelle gioiose giornate estive dove le persone si radunavano per quei lavori di stagione che univano a se intere comunità, dove oltre al lavoro c'era il dialogo e quelle pause di metà giornata all'ombra dei grandi arbusti. Umili portate di cibo portati dalle Donne direttamente dalle valli alle quote maggiori dove tutti condividevano tutto ciò che Madre Terra donava a loro. Pane, formaggio, fette di polenta fredda, salame e buon vino dove tutto questo creava una magnifica comunità. Tempi lontani, così lontani da rendermi conto che ora è tutto scomparso, per sempre.
Questi miei ricordi prendono vita un bel giorno in cui, trovandomi nel Comelico, vado a visitare una mostra fotografica d'epoca. Una carrellata di meravigliose e nitide foto in banco e nero dove raccontare la quotidianità, sia in quelli che allora erano piccoli paesi che negli alpeggi. I pascoli di 100 anni fa, il lavoro d'intere comunità a fare fieno in quelle stesse distese prative che molti anni dopo mi hanno visto muovere i miei primi passi e innamorami di questa meravigliosa Natura.
La magia delle foto in bianco e nero non ha eguali. Nulla può portarmi alle realtà odierna, nemmeno la tecnologia moderna che con colori filtrati rappresenta perfettamente gli stessi colori dell'epoca. Immagini che porto nei miei ricordi più belli e che un po alla volta mi hanno avvicinato a quel mondo così lontano e che per noi ora sembra un vero abisso.
Raccontano alla perfezione una storia che lega culture e tradizioni di popolazioni che trovavano sostentamento solo in quei pochi lavori agricoli che solo l'Estate offriva. I pascoli e il latte, come il fieno e il legname.
Solo su questo si sostenevano numerosi nuclei famigliari, prima dell'avvento dell'Inverno che nella maggioranza dei casi teneva interi paesi isolati dal resto del mondo per mesi. Poco turismo, se non il minimo necessario e che permetteva solo ai benestanti di potersi permettere vacanze nei pochi alberghi presenti e in quei quasi rari impianti a fune invernali. Il resto era solo storia. Una storia vecchia di secoli dove ogni lavoro seguiva una lunga e umile tradizione. Gli uomini ai pascoli maggiori e le Donne a sbrigare i doveri di casa.
Paesi dove le poche e già vecchie case presenti venivano rappresentate da quella chiesa sempre presente, dalla piccola piazza con quella fontana che era motivo di raccolta delle massaie per lavare e asciugare i panni. Strade bianche, le stesse che per noi ora rappresentano le forestali. Polverose e dove le prime e rare automobili a fatica riuscivano a trovare spazio tra i carri trainati da cavalli o buoi lungo quelle che allora risultavano le uniche vie di collegamento tra una valle e l'altra. Tutto questo racchiuso in una semplice foto in bianco e nero.
Rimango sempre emozionato e attento quando mi capitano per mano, e per caso, questi reperti e testimonianze di quella montagna di una volta che tanto amo. Forse perchè ho fatto in tempo a viverla direttamente, anche se di poco, quella vecchia realtà dove uomini e animali si sostenevano l'uno con l'altro. Nessuno poteva fare a meno dell'altro.
Ora quel mondo non esiste più. Tutti i lavori vengono svolti da un uomo solo a bordo di una macchina che si muove con la stessa forza di 20 braccia. Gli alpeggi in certi casi condividono i verdi prati con i tralicci degli impianti a fune e nelle piazze dei paesi la fontana è solo un simbolo che non viene più utilizzato dalle massaie. Nemmeno i carri trainati dai buoi esistono più. La stessa macchina di prima svolge anche quel lavoro così antico.
Se voglio trovare la stessa dimensione di quel mondo lontano, non devo fare altro che chiudere gli occhi al suono delle campane di quei paesi, pensare a una di quelle meravigliose foto in bianco e nero per trovarmi catapultato all'interno di un mondo che non esiste più.
Stefano









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