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SILENZIO - TEMPO  -  MISURA

Lago del Coldai, ritorno al passato.

  • Immagine del redattore: Stefano
    Stefano
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 12 min

Un viaggio nel "mio" tempo.



Ci sono luoghi che, inevitabilmente, sanno riportare alla vita ricordi lontani — quelli più belli, che hanno intrecciato l’anima a un tempo che non ritorna. Parlare di ricordi è come varcare la soglia dell’anima più pura e silenziosa, dove tutto ciò che è stato continua a esistere. Rievocarli significa soffiare su una piccola fiammella che non si è mai spenta, e che nel suo tremolio discreto illumina ancora il cuore di chi non dimentica. Un mondo sospeso, senza tempo.


E poi ci sono luoghi che non conoscono il tempo. Luoghi dove ogni passo che compi risuona come un’eco lontana, capace di rievocare quelli di cinquant’anni fa, quando con mio papà muovevo i primi passi alla scoperta del meraviglioso mondo delle Dolomiti. Il mio primo trekking, il mio primo rifugio, il mio primo lago alpino — specchio puro di un cielo che sembrava non finire mai. Fu lì che il mio animo trovò il suo primo respiro profondo, il suo primo “combustibile” vitale: l’emozione di osservare la natura con occhi nuovi, come se ogni cosa avesse finalmente un’anima. Da quel rifugio e da quel lago ha avuto inizio un cammino lungo una vita, un viaggio che ancora oggi non conosce sosta.




Autunno in Val di Zoldo
Autunno in Val di Zoldo



La Val di Zoldo, Palafavera, Casera Pioda e il Rifugio Coldai: sono questi i luoghi che racchiudono la mia personale macchina del tempo. Ogni anno vi ritorno, seguendo un rito che ormai è diventato tradizione. Tra i sentieri, le baite e il profilo delle montagne, riaffiorano ricordi di chi non fa più parte della mia vita. È un modo per tenere viva la memoria, per ritrovare, almeno per un istante, ciò che il tempo ha portato via.


Tutto nasce da una persona che per me è stata molto più di un Papà. È stato il mio punto di riferimento, il mio mentore, colui che mi ha insegnato la libertà che oggi porto dentro. La sua passione per le Dolomiti, il suo amore per quelle montagne — in particolare per il Monte Civetta e il Monte Pelmo — hanno lasciato in me un’impronta profonda. Quelle due vette, maestose e familiari, sono diventate i simboli di una tradizione che coltivo ormai da anni. Ogni volta che salgo lassù, è come se lo accompagnassi ancora una volta. Non è più accanto a me, ma continua a vivere nei miei pensieri più intimi, nel silenzio delle cime e nel respiro del vento.




Palafavera - 1500m


L’autunno porta con sé le prime leggere spolverate di neve, che nelle giornate di sole si sciolgono rapidamente, mentre oltre i duemila metri trovano l’ambiente ideale per formare un sottile strato di ghiaccio. È un cambiamento affascinante: i colori intensi della stagione si uniscono agli spazi imbiancati, creando un contrasto suggestivo. Un velo discreto che aggiunge un tocco di quiete al paesaggio autunnale.


La maestosità del Pelmo domina il paesaggio, imponendosi come protagonista naturale già all’alba. Dalla località di Palafavera sembra quasi volermi guidare lungo questa strada bianca, che per ora diventa il mio sentiero. Non sono mai stato un amante delle strade bianche o forestali: mi danno la sensazione di camminare a distanza dall’ambiente che mi circonda, come se ci fosse una barriera invisibile tra me e la Natura.

Eppure, oggi, questa via, unica e inevitabile, mi permette di scoprire un lato diverso del territorio. D’Inverno, quando il paesaggio si copre di neve, diventa una delle tante piste del comprensorio, e interdetta al mondo escursionistico.




Il Monte Pelmo
Il Monte Pelmo


Sono i ricordi a farmi osservare ogni dettaglio, a farmi dimenticare le distanze e le barriere che la strada sembra imporre. La lunga serpentina sale dolcemente, sfiorando tralicci e funi di collegamento, elementi che malgrado la loro presenza non riescono a scalfire il valore che attribuisco a questi luoghi e alla loro Natura. Ad ogni passo, la quota regala nuovi punti di vista: il Monte Pelmo si erge con tutta la sua imponenza, la Val di Zoldo si distende sotto di me in un mosaico di colori e luci, e sullo sfondo, i primi scorci del Monte Civetta si mostrano nel suo versante più meridionale, austero e silenzioso. Ogni panorama sembra sospeso nel tempo, e per un attimo il cammino e il mondo circostante si fondono in un unico respiro.




Casera Pioda - 1802m


Mattina piacevole, con un sole che scalda a sufficienza e che mi fa sentire bene. Sebbene il Pelmo agli occhi appaia ormai libero dalla neve, il Monte Civetta, lungo i suoi vasti versanti meridionali, sembra ancora avvolto in quel tanto decantato velo bianco. Punta Civetta e la vetta principale della Civetta appaiono già immerse nell’imminente inverno che non tarderà a giungere. Ampi spazi prativi si aprono lungo la Pioda, dove la casera omonima dona oggi nuova vita a quel mondo di ricordi, sospeso ormai da quasi cinquant’anni.




Il Monte Civetta - versante meridionale
Il Monte Civetta - versante meridionale


In ogni occasione le emozioni si ripetono. Allora ero poco più che un ragazzino di dieci anni. La mia prima esperienza, partita dai Piani di Pezzè (Alleghe), saliva lungo il Col dei Baldi per poi scendere verso Casera Pioda, dove scoprii la bellezza di una malga d’alta quota e del suo meraviglioso alpeggio. Sono passati molti anni, certo, ma non dimentico gli animali che pascolavano nei prati della Pioda, né la generosità dei malgari, sempre pronti a offrirti quei piccoli assaggi di latte e formaggi ancora intrisi del profumo di una montagna antica, viva nelle sue tradizioni.




Casera Pioda - 1816m
Casera Pioda - 1816m


Credimi, amico/a, in ogni occasione è così. Non viene meno quel pensiero che mi spinge a chiudere gli occhi e a immergermi nuovamente in quel mondo. Una dimensione che, con fatica, cerco di trasmetterti, ma che difficilmente può raggiungere il valore inestimabile che porto con me da una vita. Chiudo gli occhi, dunque, e lascio che la mente mi trascini via, per rivivere quei momenti, quegli istanti sospesi nel cuore di una lunga e calda estate.


Una piccola pausa, lo zaino a terra, e un cammino in pace all’esterno di questa ormai vecchia struttura. Vecchia, sì, come è consueto per quelle malghe che, lontane dall’accoglienza turistica di massa, restano ferme nel tempo. Abbandonata e trascurata, porta sui muri e sulle travi i segni evidenti di un passato in cui la vita qui era ben diversa. Ciò che tuttavia mi rincuora sono alcune tracce organiche sparse nei prati circostanti, testimonianza che l’estate porta ancora quassù la bellezza e la libertà dei pascoli.




Rifugio Coldai - 2132m


La salita, lungo il sentiero 556 (Anello Zoldano), rappresenta per l’intera giornata un piccolo impegno, ma la completa assenza di boschi e di ostacoli apre verso una dimensione più ampia, dove i panorami si estendono ben oltre la Val di Zoldo. Se prima il Monte Pelmo aveva lasciato spazio ai versanti del Monte Civetta, capaci di catturare ogni mia emozione, ora il Pelmo si mostra nuovamente nella sua maestà, Re assoluto di questi paesaggi.


Lungo questo tratto di sentiero, la prima neve e le prime lastre di ghiaccio sembrano disegnare, con naturale maestria, la via da seguire. Non servono mappe né punti di riferimento per ritrovare la giusta direzione. Dalla Pioda al Coldai è questo, finalmente, il sentiero che riconosco come il “vero” cammino: libero da barriere, colmo di quelle distanze che ora mi conducono sempre più vicino alla mia Natura. All’altezza della Busa del Toro, alla sua base, si apre un breve tratto pianeggiante che diviene, quasi all’improvviso, il cuore geografico di tutto questo territorio.







Una pausa obbligata: rimanere impassibili in questo punto nevralgico è semplicemente impossibile. Una roccia diventa ora un “trono” privilegiato, da cui i miei occhi e la mia mente si librano in un nuovo volo, che dalla Val di Zoldo si innalza verso il Pelmo. Scorgo un tratto del Sorapis, lungo il versante che volge alla Valle del Boite, per poi entrare pienamente nella Val Fiorentina. Il Mondeval, il Becco di Mezodì, la Forcella e la Cima Ambrizzola, infine il Monte Cernera: una corona di cime che si svela una dopo l’altra.


Ciò che più mi sorprende è la vetta maggiore della Tofana che, candida di neve, emerge improvvisamente tra la forcella e la sommità dell’Ambrizzola, come un’apparizione inattesa nel silenzio dell’altitudine.



"I panorami di montagna sono quegli spazi elevati ­— vette, crinali, vallate che discendono — in cui la natura dispiega la propria grandezza silenziosa, invitando lo sguardo e il cuore a un doppio movimento: verso l’esterno, nell’orizzonte ampio e senza confini; e verso l’interno, nella sospensione del tempo e nella scoperta di sé. In questi paesaggi la roccia, il cielo, la neve e l’erba si miscelano come attori di un rito antico, e ciò che appare all’occhio si fa simbolo dell’infinito, dell’intimo e del sublime."



La neve torna, dopo tanto tempo. Dopo mesi trascorsi immerso in una dimensione opposta, la ritrovo infine lungo questo tratto finale di cammino. Gli ultimi passi, più ripidi, annunciano di poco il rifugio. La neve qui è ghiacciata, distesa in ampi lastroni lucenti che richiedono cautela: ogni passo deve essere misurato. Il tratto che risale le spalle della Busa del Toro, dove la roccia si mescola all’erba, è il più insidioso — devo procedere con attenzione, consapevole che anche questo fa parte del mio straordinario legame con ciò che considero l’essenza più autentica e irripetibile della Natura. Poi, tra il bianco e il silenzio, appare la piccola casetta d’arrivo della teleferica del rifugio. Ancora un centinaio di metri su un sentiero pulito e agevole, un lieve aggiramento sulla destra… ed ecco riapparire, come un saluto familiare, la splendida immagine del Rifugio Coldai.




Rifugio  A. Sonnino al Coldai - 2132m
Rifugio A. Sonnino al Coldai - 2132m


Nei suoi ricordi, il Coldai è sempre rimasto impresso come una parte essenziale della sua vita. Negli ultimi anni — quando la salute, e ancor più l’età, lo hanno definitivamente allontanato dalla montagna — ogni mio ritorno quassù, ogni nostra conversazione al riguardo, facevano brillare nei suoi occhi una luce simile a quella dei lastroni di ghiaccio che risplendono lungo il sentiero. Mi ascoltava in silenzio per qualche istante, poi lasciava che le parole si trasformassero in una cascata di domande, nate dai mille ricordi che ancora custodiva. Cercava sempre di partecipare, almeno con il pensiero, a ogni mia giornata ai piedi della Civetta, con quella dolce nostalgia di chi conserva una mente lucida abbastanza da comprendere — con serena rassegnazione — che per lui quel tempo non sarebbe più tornato.


Una breve pausa al rifugio, chiuso nel silenzio del lungo inverno, quasi fosse un omaggio alla presenza di mio padre in questo luogo che, ancora una volta, mi vede arrivare. Una delle tante volte, negli anni in cui lui non aveva più la forza di salire fin quassù. Ora, però, dopo la sua recente scomparsa, il suo spirito e la sua presenza mi appaiono più vivi che mai, come se la montagna stessa custodisse il suo respiro.




Dal Rifugio Coldai al Monte Pelmo
Dal Rifugio Coldai al Monte Pelmo


"Ti ricordi, Papà, quando salimmo quassù per la prima volta, io e te? Non fu soltanto una delle tante prime volte: fu la mia prima volta lungo un sentiero vero, la mia prima volta in un rifugio vero, e la prima di tanti momenti trascorsi insieme, in quella bellissima e calda giornata d’Estate di quasi cinquant’anni fa."




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Mi vengono i brividi, ora come mai prima d’ora. A nutrire questa profonda emozione è la consapevolezza che la sua morte non mi offrirà mai più l’occasione di raccontargli tutto. So che, al mio ritorno, lui non sarà più lì ad attendermi, con quella curiosità viva che cercava di cogliere ogni minimo dettaglio. Questa consapevolezza fa crescere, costringe a riflettere e mi pone, senza possibilità di fuga, di fronte a una delle verità più immutabili dell’esistenza: la morte.




Lago del Coldai - 2143m


Devo frenare un poco queste emozioni così intense. Il rifugio diventa ora il mio punto di sosta, il luogo dove consumare il pranzo al sacco e ritrovare un attimo di quiete. Ma prima di tutto sento il bisogno di riprendere il cammino, salire ancora un poco, e in breve raggiungere il piccolo Lago del Coldai. Il pianoro del rifugio è ormai libero dalla neve: le ampie distese prative si tingono dei colori di stagione, un intreccio di verde e di brina che annuncia il respiro dell’Inverno. La salita verso la Forcella Coldai (2190 m) è in gran parte coperta di neve, che ritrovo nuovamente lungo il sentiero. La raggiungo passo dopo passo, fino a scorgere, d’improvviso, il lago: una visione vissuta infinite volte, eppure ogni volta nuova, colma di un’emozione che sembra non conoscere il trascorrere del tempo.




Il Lago del Coldai - 2143m
Il Lago del Coldai - 2143m


La sua posizione naturale, incastonata tra le pieghe dell’Autunno e dell’Inverno, lo colloca in un punto preciso del mondo, dove il sole riesce a posare i suoi raggi soltanto per poche, timide ore al giorno. La prima neve di Novembre scende leggera e rimane, immobile, a velare l’intero specchio del lago e tutto ciò che lo circonda. Basta alzare lo sguardo per scorgere il versante nord della Civetta: quella parete imponente, severa, ora completamente avvolta dalla neve novella, già trasformata in sottili strati di ghiaccio nati dal suo stesso respiro. Il sole tiepido di Novembre non osa penetrarli, li conserva intatti, solidi, come un presagio silenzioso dell’Inverno che avanza.


Una discesa dolce accompagna il cammino fino alle sue sponde. Le acque del lago sembrano già rivolgersi al primo freddo, quello che basta a stendere su di esse un velo sottile e uniforme di ghiaccio: una superficie piatta, levigata, simile a un’immensa lastra di marmo impenetrabile.

Sotto di essa, l’acqua ancora visibile accenna appena a un movimento, un fremito. Qualche bolla d’aria, ribelle e imprevedibile, tenta di farsi strada verso l’alto, come se cercasse con spasmodica urgenza un varco, un respiro, una possibilità di libertà. Ma nella Natura ogni cosa segue un ritmo tutto suo, un ordine antico che non conosce deviazioni.


Ora il freddo si fa davvero sentire. All’ombra delle grandi pareti che si innalzano a formare i primi bastioni rocciosi, il gelo cala improvviso, netto. Mentre percorro il sentiero che abbraccia le sponde del lago, il mio corpo reclama un po’ di calore, ma il sole resta distante, irraggiungibile, così come lontane sono le poche figure che ho incrociato in questa giornata rarefatta.

Mi avvolge una solitudine quieta, profonda, che somiglia al silenzio del lago e a quello dell’intero paesaggio che mi accoglie senza chiedere nulla. Sistemo i guanti e, con la calma che questo luogo impone, inizio il mio piccolo cammino ad anello. Un percorso che sembra svanire nel tempo, perdendosi nei meandri di un passato che continua a respirare tra queste montagne.




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Sono trascorsi molti anni da allora, e mi pare di sentirne il peso a ogni passo che affonda nella neve indurita dal gelo. Un vento freddo risale il versante che si apre verso l’ampio basamento del Monte Civetta, quel pendio che conduce al lontano Rifugio Tissi, un tempo meta finale del nostro cammino. Ora, però, in questa stagione di rifugi chiusi e sentieri resi ostili dagli elementi, quel tragitto non è più possibile. Del rifugio rimangono solo ricordi che il tempo non ha scalfito: immagini vivide, quasi tatuate nella memoria. E tra tutte, riaffiora il ricordo di quel primo pranzo, quando ero soltanto un ragazzo che iniziava appena a scoprire il fascino austero e la bellezza immensa di questa montagna.


È un piccolo anello, eppure sembra dilatarsi in un tempo senza misura, come se il mio profondo desiderio di ricordare la memoria di mio Papà trasformasse questo percorso nella cornice ideale per un dialogo silenzioso con la realtà. Una realtà che ora mi mostra con chiarezza quanto tutto sia cambiato. La differenza è scolpita dalla sua assenza: quella presenza che un tempo accompagnava ogni passo e che ora non può più confrontarsi con le mie continue esperienze.

Raggiungo quello che, dentro di me, riconosco come il mio punto perfetto. Decido di fermarmi, per qualche minuto soltanto. Zaino a terra, mi lascio avvolgere dalla visione limpida dello specchio d’acqua, mentre il sole, l’unico vero protagonista di questo anfiteatro naturale, illumina con una luce viva il profilo di Cima Ovest del Coldai.




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"Una luce che sembra evocare la sua presenza, come un segno discreto, ma profondissimo."




Chissà come appare il mondo quando lo si osserva dal Paradiso.

È un pensiero che si insinua nella mente, dando forma a nuove riflessioni. Se per me le Dolomiti, con la loro maestà e il loro silenzio, sono da sempre un Paradiso terreno, non posso fare a meno di domandarmi se esista davvero una dimensione ultraterrena capace di contemplare soltanto ciò che è bello e positivo nella vita. Mi chiedo se, oltre questo fragile confine terreno, ci sia uno spazio in cui tutto ciò che è puro, luminoso, essenziale trovi finalmente dimora; un luogo dove le cose nocive, quelle che minano la serenità e la limpidezza del vivere, restano fuori, respinte dalla stessa neutralità che, nella mia quotidianità, mi fa riconoscere ciò che merita di essere tenuto vicino e ciò che è meglio lasciar andare.


Staccarsi completamente da una realtà avvelenata, da una quotidianità che sembra farsi ogni giorno più storta, significa ritrovare la possibilità di entrare in perfetta simbiosi con questo mondo naturale. Qui riesco a dare vita a un’alchimia sottile, quasi sacra: qualcosa che non si limita a pulsare lungo i bordi di questo lago meraviglioso, ma che riporta alla luce ricordi e persone che resteranno per sempre i miei punti di riferimento. La mente allora si mette in viaggio, attraversa il tempo. Guarda al passato con una malinconia che sa di dolcezza e di ferite mai del tutto chiuse; poi si spinge verso il futuro, verso quelle prospettive delicate e incerte in cui intravedo il cambiamento che da tanto cerco, che da tempo desidero, e che forse questo stesso cammino mi sta aiutando a capire.




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Risalgo verso il Rifugio Coldai, lasciandomi alle spalle l’immensa ombra gelida in cui il lago, in una piccola porzione, riceve appena un soffio di luce: un raggio fragile che, quasi per incanto, riesce a insinuarsi tra i bastioni che lo sovrastano. Rientro al rifugio e torno a sentire il tepore gentile del sole, quell’ultimo calore che accompagna il movimento lento e stanco del giorno verso la sua conclusione. Mi affaccio sulla magnifica terrazza, e il panorama che si apre davanti ai miei occhi mi riporta, con dolce fermezza, alla vita terrena.

La lunga Val de le Ziolere si distende sotto di me, scendendo dai bastioni di roccia fino ai boschi colorati della Val di Zoldo. E il Monte Pelmo, davanti a tutto questo, torna a brillare in una luce nuova, come se anche lui stesse vivendo un proprio lento e segreto risveglio.


Il rientro verso Casera Pioda e Palafavera si colma di ricordi, di immagini, di tutto ciò che questa lunga giornata ha saputo consegnarmi.

Non ho più nulla da aggiungere: sento di aver dato voce a ogni pensiero, di aver accolto ogni desiderio che questa giornata così particolare portava con sé. Al mio ritorno, però, nella sera che si prepara ad avvolgermi, non troverò più quegli occhi lucidi d’emozione ad attendermi, pronti a far rivivere anche i suoi ricordi insieme ai miei.



"Resteranno soltanto i miei, compagni silenziosi e preziosi,

destinati a rimanere con me per tutta la vita."






Stefano








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