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In Forcella Maraia.

Impressioni d'Autunno al Rifugio Città di Carpi.


 

Una di quelle mattine fredde e umide. Una di quelle giornate poco invitanti per intraprendere un cammino dove la pioggia rende l’Autunno forse un po più triste e malinconico. Una susseguirsi di situazioni del tutto naturali in cui al mattino presto converrebbe starsene sotto le coperte o al riparo da condizioni meteo che risultano effettivamente contrarie. Una di quelle mattine in cui trovo spunto di proseguire il mio cammino, di salire attraverso dei meravigliosi boschi verso ciò che ora il Rifugio Città di Carpi risulta solo e abbandonato dopo una lunga stagione estiva.  



 

Federa Vecchia (o Federa Vecia) – 1300m


La lunga strada che collega Auronzo di Cadore con Misurina è praticamente deserta in questo sabato di mattina presto. I boschi che circondano questa lunga arteria di media montagna portano ancora le “tracce” di giorni e giorni di piogge, dove il mio Autunno sembra improvvisamente assumere l’aspetto di un habitat fortemente colpito da forze di una Natura sempre più “arrabbiata”.


Federa Vecchia è una delle diverse località che in assoluta libertà si disperdono lungo la Val d’Ansiei. Tutto si racchiude in un paio di baite, ciò che rimane dello storico Albergo Cristallo, chiuso ormai da diversi anni, e di un piccolo pascolo di mucche che forse con grande fatica riescono ancora trarre beneficio da un’erba quasi del tutto essiccata dal gelo e dall’avvento dell’Autunno. È ciò che io considero come “l’ultimo alpeggio” di stagione, l’ultimo frangente di un Estate che ormai è già ben che dimenticata. Tutto questo all’interno di una cornice formata da basse e grigie nubi che non permettono di scrutare nulla dell’orizzonte che mi sta vicino.





Vista verso il Sorapis nascosto dalle nuvole...

Il Sorapis come le vicine Marmarole, grandi massicci rocciosi che da questo punto di partenza espongono la loro totale bellezza. Due punti di vista che vengono a mancare, nascosti dalla forza di queste nubi e da questo mio cielo autunnale che nulla promette di buono. Il sentiero costeggia sia l’albergo che un paio di piccole e graziose baite, troppo vicine alla trafficata strada principale e che non mi ispirano, per quanto invitanti, a viverci o altro. È da questo posto che quelle poche mucche ancora resistenti a queste basse temperature portano un leggero vento di “bella stagione”, con quell’inconfondibile tintinnio che nella mia mente profumano di un tempo ormai passato.  



 

In Maraia Bassa


Una piccola stradina d’asfalto che in un centinaio di metri lascia spazio a una ripida strada forestale che con il giusto impegno mi addentra tra i boschi che con grande intensità prendono vita tra la Val dei Aune e il Cos dal Pin. Classiche località per nulla conosciute e che non rientrano all’interno dei normali canoni dell’escursionismo, ma che nella totale indifferenza da parte nostra portano con se storie antiche di quella montagna a noi del tutto sconosciuta ma ricca di tradizioni epocali. Il sottobosco, umido e fangoso.


Una prima parte di cammino che improvvisamente si stringe in un sentiero dove le foglie cadute di stagione danno vita a repentine pozze d’acqua e tratti abbastanza fangosi, che con la forte complicità delle piogge dei giorni scorsi trovano la ninfa perfetta per dare maggiore vigore alla ricca flora presente.





L’acqua, fonte di vita essenziale. Un possibile e piccolo ostacolo per noi esseri umani ma fonte di vita stessa per questi meravigliosi boschi, che ora iniziano lentamente a dare colore a questa mia giornata così grigia. Tutto scorre con grande tranquillità. Una serie di “fuori pista”, classici in questa stagione, per riuscire a evitare quei tratti di cammino eccessivamente fangosi o che, per Natura stessa, inevitabilmente danno vita a improvvisati stati paludosi. Una Natura in forte cambiamento. Una Natura in veloce evoluzione seguendo il passo di una stagione che fino alla prossima Estate muterà completamente ogni suo stato. Alcune leggere aperture del cielo permettono l’entrata in scena di una leggera formazione di luci che il sole cerca di espandere all’interno di questo mio mondo. Inutilmente e da illudermi a un repentino e improvvisato cambiamento.    




        

Una perfetta alchimia che mi mette a stretto contatto con tutto ciò che ora in Natura si presenta. Tutto ciò che forse sfugge all’attenzione di chi segue il suo personale cammino unicamente in stagioni ben precise, senza confrontarsi minimamente con tutto ciò che accade ora. È un’alchimia che riesco a percepire in quei momenti in cui il vero habitat mi si presenta nella sua veste migliore: quella sincera e per nulla costruita. Ma è un alchimia che dura il tempo che trova, giusto il tempo per uscire temporaneamente dai boschi e trovarmi ai piedi una stretta stradina d’asfalto. Nulla di nuovo come nulla di particolare. Conoscendo per bene il territorio non è una sorpresa questo “manto” di colore scuro che dall’Aga Rossa è il punto di partenza per il tratto carrozzabile che porta direttamente in Malga Maraia.  



 

Bus de Pogofa – 1920m


Quello di Malga Maraia è un luogo che mi riporta indietro nel tempo. Qualche decennio fa, quando la malga offriva già accoglienza turistica ma si presentava con quella “veste” di una malga di altri tempi. Un’antica struttura dove si respirava la vera aria di quella montagna di una volta. Mura che portavano con se decenni di vita dispersa tra quei suoi meravigliosi pianori, dove i pascoli estivi si confrontavano con la tradizione e non con il lusso di ciò che ora la malga stessa offre ai suoi clienti. Io purtroppo non sono molto portato al cambiamento, rimango ben saldo a ciò che fa ancora parte di quell’antica montagna fatta di gente comune e che dal mio punto di vista rispecchia perfettamente quell’antica cultura che un po alla volta si sta perdendo.  


Ma non per questo in questa mia giornata vado a “snobbare” la malga. Non rientra nel mio programma essendo chiusa durante questa stagione e motivo valido per un possibile caffè. Al limite di quel bivio raggiunto a qualche centinaio di metri dalla malga stessa, e che cambia la mia direzione di cammino, il sentiero 120 sulla sinistra torna nuovamente a formare quella strada bianca che ora mi torna nuovamente familiare. La stagione in corso è anche valido motivo per aprire quella finestra “operativa” dove il periodo del disboscamento annuale prende nuovamente vita. Cantieri aperti lungo il mio cammino attraverso il Ciampiète, grandi cumuli di tronchi già lavorati e in attesa di essere portati nelle segherie a valle.


Questo comporta un piccolo disagio. Le forti piogge torrenziali dei giorni precedenti e il continuo via vai di mezzi pesanti deformano questo tratto di forestale in un susseguirsi di buche, fango, enormi acquitrini e tutto ciò che comunque consegue un lavoro da svolgere. Un disboscamento controllato ed equilibrato che serve per un corretto delineamento di questo habitat. Per quanto si tolga alla Natura altrettanto si da, con le nuove piante a prendere così vita all’interno di quei spazi liberati da decennali arbusti ora resi utili per il fabbisogno di tutti noi. Su questo non mi sono mai opposto a pensieri contrariati anzi, da decenni la Natura viene così salvaguardata dall’essere umano in un ciclo continuo che come la vita di noi stessi prosegue di generazione in generazione.   


Ed è così che si svolge questo tratto che improvvisamente pone le prime gocce di pioggia di giornata. Piogge che con lentezza iniziano a diffondersi tra queste prime avvisaglie di una nebbia che con l’aumento di quota assume le sembianze di quel primo e leggero strato di nuvole presenti nelle quote superiori. Tutto assume un aspetto completamente nuovo, dove la nebbia disegna delle inconsuete forme tra questi alberi carichi di un colore esplosivo. Un perfetto quadro naturale dove ogni minimo particolare sembra venire esaltato da questa diversità di sfumature e giungere così al Bus de Pogofa assorto in una romantica poesia. Il Bus, un nome così strano che in questo istante è la congiunzione di un cammino che come altri porto nel cuore.  







Il sentiero 120 diviene ora un tutt’uno con quella via di cammino che dal versante opposto al mio congiunge il rifugio con il Lago di Misurina. Tanti ricordi verso questo nuovo versante, ricordi ovviamente legati al mio passato e che è sicuramente più panoramico e meno boschivo di quello che mi lascio alle spalle. Salire fin quassù da Misurina e dal Col de Varda evidenzia una via di cammino quasi in orizzontale alla base delle Grave de Pogofa e di quel versante più visibile dei Cadini di Misurina. Un cammino che al Bus ora diviene un’unica via e che lungo il Col del Viero – Alta Via n°4 – compone il tratto finale di giornata.  




Rifugio Città di Carpi – 2118m


Un tratto finale con poco dislivello, con quei tratti su ampia carreggiata che dolcemente affronta quei poco più di 100m di dislivello. Un susseguirsi di cambi di direzione dettati da una serpentina che alternandosi dai boschi ad ampi spazi verdi mette maggiormente in risalto quel contrasto dettato da una nebbia e dai colori dei boschi. I primi punti panoramici che improvvisamente sbucano tra enormi massi rocciosi caduti da chissà quali versanti dei Cadini. I primi punti di vista che ora abbagliano di colore Maraia Auta (Maraia Alta) tenendo la Croda de Cianpoduro ostaggio delle nuvole e che per l’intera giornata non mi permetteranno di ammirarne quella sua croce in vetta.  





Non piove più, mi libero del grande poncho che per un’oretta circa mi ha tenuto a bada dalla leggera ma interminabile pioggia. Le ultime curve per uscire definitivamente dal bosco e guardare finalmente da Forcella Maraia (2101m) tutto ciò che da lontano da vita a questo nuovo angolo di Natura. Per ora il rifugio rimane a qualche centinaio di metri. Mi dedico alcuni minuti molto particolari nell’osservare la meravigliosa cartolina naturale tra i vasti prati di Maraia Auta e Maraia Bassa. Colori e sfumature che dai prati si innalzano verso il mio orizzonte sommerso da nuvole bianche e grigiastre, a nascondermi le bella vista verso questi versanti delle Marmarole ma dando maggiore risalto ai boschi che hanno visto il mio cammino in precedenza.









Se fino a ora l’unico elemento mancate era il vento, raggiunta la forcella inizio a percepire quella sua presenza da quelle improvvise folate che dalla Val d’Onge, il versante opposto, salgono a tutta forza. Cambiare completamente scenografia naturale è questione di un attimo. Certo, perchè tutto non si racchiude al rifugio e alla forcella ma bensì questa mia giornata va ad arricchirsi proprio con ciò che il versante della Val d’Onge per ora mi tiene ancora nascosto. Ma ogni cosa ha il tempo che merita. Ora il rifugio è la mia priorità, dettata da quel mio pranzo a sacco da condividere solo con me stesso. Ora quassù è tutto chiuso, tutto al sicuro e in attesa di un lungo Inverno che sicuramente non tarderà ad arrivare.  



Da Forcella Maraia in Maraia Alta

Un rifugio tutto mio, con quella sua terrazza esterna ora libera da tavoloni e panchine che hanno dettato tempi e spazi di un altra stagione. Un paio di panche esterne dove potermi riposare e caricare il mio fisico delle giuste energie guardando verso quel versante che si allunga verso le Marmarole  ancora del tutto sommerse in un mare di nuvole in continua evoluzione. Il mio momento, fantastico e da vivere a ogni istante e a ogni respiro. Solo completamente solo quassù, solo sin dalla mia partenza dove sentirmi per l’ennesima volta “eterno” padrone di questo mio Paradiso. Solo il vento mi fa compagnia, disegnando nelle nuvole quel suo naturale e improvvisato senso di marcia e senza una meta.









Un po di briciole che lascio per terra, ben visibili sul legno della terrazza esterna del rifugio a richiamare la curiosità di un paio di gracchi che ben hanno percepito l’occasione di giornata. Ecco, l’unica compagnia “vivente” ora è la loro e io mi lascio così trasportare da questa loro piacevole presenza. Quattro passi tra un boccone e l’altro per guardarmi per bene attorno, per cercare qualche possibile prospettiva sempre verso le Marmarole. Loro sono laggiù, lo sento e lo percepisco, ma la mia è una ricerca che non porta nessun esito positivo. Solo la bellezza di queste bianche nuvole a portarsi addosso il riflesso del sole che improvvisamente sembra volersi presentare su di una scena indimenticabile. Ma nulla nemmeno per lui. Le forti raffiche della Val d’Onge sono un continuo e interminabile movimento di nuvole.

 






Al Pian de la Mussa


Quel versante che guarda in via definitiva ai Cadini e a quelle vette rocciose che compongono questa enorme muraglia di Dolomia. Il Pian si apre alle spalle del rifugio, è questione infatti di pochi passi per entrare così all’interno di un “nuovo mondo” che, sebbene sia imprigionato dalle nuvole, di per se si presenta già come quell’istantanea da vivere in ogni suo istante.


Un ampio pianoro che porta con se tracce di quel recente alpeggio estivo che colora di vita questi luoghi durante la stagione calda. I primi tratti boschivi che guardano direttamente verso la lunga Val d’Onge per dare così vita alle imponenti pareti del Cadin di San Lucano (2839m), Cima Eotvos (2742m), il Ciadin de la Neve (2658m) e che con il Ciadin de Maraia (2653m) chiude almeno questa prima parte ben visibile da questo versante. Vivo tutto questo immerso all’interno di un atmosfera quasi surreale. Un gioco in continua evoluzione dove la mia assoluta solitudine si confronta con i colori dei boschi, quel continuo via vai di nuvole che alla Val d’Onge risalgono verso Forcella Maraia in un susseguirsi di movimenti dettati da un istinto impossibile da decifrare.



Vista verso il versante Sud dei Cadini di Misurina dal Pian de la Mussa


Prendono così vita momenti che solo in luoghi come questi possono trovare vita. Momenti che possono durare qualche istante come una giornata intera. Momenti in cui sedersi su quel punto perfetto e sentirsi al centro di un mondo che senti unicamente tuo. Colori, sfumature, quella sottile brezza di un vento freddo, quel costante e continuo movimento di grandi cumuli nuvolosi che in certi momenti sembrano predire quell’imminente pioggia a rendere questo mio “ombelico” del mondo parte di un pianeta lontano e sconosciuto. La solitudine certo, quell’enfasi emozionale che bisogna vivere come la vita, con lo stesso ardore e con quel forte desiderio di raccogliere il meglio da istanti che per sempre rimarranno dentro le emozioni più belle della mia vita.







Come spesse volte dico, l’Autunno non è solo la stagione del foliage e di quei colori che innamorano i tuoi occhi. L’Autunno è anche quella stagione dell’abbandono, di tutto ciò che prima profumava di vita e che ora inevitabilmente si avvia al lungo letargo, al lungo silenzio. La solitudine in tutto questo risulta perfetta, in equilibrio con una Natura e un habitat in continua evoluzione dove anche le nuvole e la pioggia rendono indimenticabile questa mia ennesima ed emotiva giornata.





Stefano




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