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SILENZIO - TEMPO  -  MISURA

Tre Cime, la prima neve.

  • Immagine del redattore: Stefano
    Stefano
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 10 min

Le bianche Lavaredo.



Il primo freddo, quello autentico, è arrivato. Le temperature scendono ben sotto lo zero e, nelle prime ore del mattino, l’aria punge il viso, l’unica parte scoperta del mio corpo, annunciando l’avvicinarsi dell’Inverno. Quello vero. È una mattina quieta, di quelle che al Lago d’Antorno segnano l’inizio di ciò che considero la prima, genuina giornata bianca. Il gelo si fa più intenso sotto la mole imponente e l’eleganza naturale dei Cadini di Misurina, che sembrano amplificarne la presenza. Una lieve velatura sfuma il cielo di inizio dicembre, mentre in lontananza il grande massiccio del Sorapis richiama alla mente ricordi lontani, ora serrati in un unico, gelido respiro.


La lunga strada che d’Estate solca la montagna diventa ora il mio punto di riferimento, il tracciato da seguire nella prima parte dell’ascesa verso il Rifugio Auronzo. È la stessa via che, durante la stagione calda, si trasforma in teatro di polemiche e proteste che condivido pienamente: il traffico sfrenato dei mezzi a motore violenta la quiete della Val Longeres, spezzandone l’armonia naturale. Asfalto in Estate, bianca neve invernale ora. Tutto cambia e si trasforma, dando vita a un cammino piacevole che finalmente ritrova il silenzio che questo ambiente merita.


All’inizio non servono riferimenti, o quasi. La semplicità del percorso non impone mappe né studio particolare del sentiero. Conoscendo già questi luoghi, posso dedicarmi soltanto a ciò che mi accompagna lungo questa bianca arteria silenziosa: panorami, prospettive inattese, frammenti di bellezza scolpiti nei massicci rocciosi che incorniciano il primo, e più impegnativo, tratto di dislivello. Non solo i maestosi Cadini di Misurina, ma anche scorci che si aprono sul Cristallo, sulle pareti meridionali delle Tre Cime, e su quel Sorapis che, passo dopo passo, assume sempre più l’aspetto di un gigante da conquistare.





Lago d’Antorno – 1966 m


Il Lago d’Antorno è un piccolo specchio d’acqua che, nella mia fantasia, immagino come il fratello minore del più celebre Lago di Misurina. A differenza del suo fratello maggiore, ha la fortuna di rimanere lontano dalla morsa del traffico, e questo gli restituisce, soprattutto nelle prime ore del mattino e con la chiusura stagionale della strada verso le Tre Cime, una pace più profonda, una quiete che sembra raggiungere le radici del luogo. Solo un vento leggero percorre la superficie, come se volesse dare voce al respiro dei Cadini, che a Oriente annunciano il nascere di un nuovo giorno. Tutto è avvolto dal bianco: una veste lieve, caduta con delicatezza sul territorio, che concede spazio soltanto ai piccoli suoni di una Natura ancora viva e vigile.



Il Lago d'Antorno e i Cadini di Misurina all'alba...
Il Lago d'Antorno e i Cadini di Misurina all'alba...


La mattina scorre lenta, silenziosa, accompagnata da un passo tranquillo. Erano mesi che non indossavo i miei ramponcini, ma oggi tornano preziosi alleati: la notte trascorsa, limpida e gelida sotto un cielo trapunto di stelle, ha creato un sottile strato di ghiaccio che ora impone prudenza. Malga Rin Bianco, ritrovo prediletto del turismo di massa e troppo spesso immersa nel frastuono, riposa ancora nel suo silenzio quasi eterno, imprigionata dal freddo e da una coltre nevosa che sembra inghiottirne gran parte. È chiusa, per ora, al grande affollamento; ma basteranno pochi giorni perché torni a vivere il suo nuovo Inverno.



Dal Col de le Bisse verso il Cristallo
Dal Col de le Bisse verso il Cristallo


Un tornante dopo l’altro salgo, cullato dalla piacevole sensazione che tutto ciò che mi circonda appartenga solo a me. Ciò che d’estate diventa un punto di passaggio affollato e caotico, ora si trasforma in un luogo ritrovato, dove la Natura reclama finalmente la propria dignità, riappropriandosi di ciò che è suo. In fondo, è proprio nell’abbandono da parte dell’uomo che la Natura torna a esprimersi pienamente, seguendo quel ciclo stagionale antico quanto il mondo. E con sincerità devo ammettere che il mio rapporto con l’Inverno non è mai stato, e forse mai sarà, idilliaco.



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La neve è, da sempre, il mio ostacolo più grande: una barriera silenziosa che inevitabilmente mi allontana da quel senso di libertà che inseguo, da quel mondo che il mio #spiritolibero vorrebbe percorrere senza vincoli, nel movimento ampio e solitario che tanto amo. La neve impone confini, stabilisce regole che non si possono infrangere quando si parla di sicurezza. Non mi concede di salire dove vorrei, là dove l’aria è più sottile e la vista più vasta: costringe a fermarsi, a rispettare quei paletti invisibili che restringono lo spazio e rendono proibitivo ciò che, in altre stagioni, è pura possibilità.


Per me questo limite ha un peso profondo. Guardando le grandi vette del Col de le Bisse, del Ciadin de le Bisse e di Cima Ciadin Rinbianco, il severo versante settentrionale dei Cadini, ne percepisco tutta la portata. La neve che ne ricopre ogni spigolo, ogni forcella, racconta senza bisogno di parole la legge naturale che governa questi luoghi. Una legge inviolabile, indiscutibile.





Rifugio Auronzo – 2320 m


All’improvviso, come un lampo a ciel sereno, un frastuono meccanico si leva dalla valle, riecheggiando tra le pareti di roccia. Il servizio invernale delle motoslitte diretto al Rifugio Auronzo ha ripreso la sua attività. È ancora presto, troppo presto, eppure il silenzio delle prime ore del giorno viene scacciato senza riguardo: un mezzo dopo l’altro lacera la quiete, interrompendo definitivamente quel fragile rapporto tra me e questa valle addormentata nella neve. Più corse, sia in salita che in discesa, per trasportare un considerevole numero di “turisti” che sembrano indifferenti alla bellezza di un cammino che potrebbe facilmente tradursi in un incontro autentico e confortevole con la Natura.


Rimango sempre riluttante di fronte a queste comodità, a queste situazioni in cui ogni assurda “pretesa” finisce per rubare occasioni preziose: opportunità di fare del bene a se stessi e, allo stesso tempo, di rispettare ciò che ci circonda. È un contrasto ignobile, in cui la Natura deve soccombere a rumori che nulla hanno a che vedere con il suo ritmo. Ma non spetta a me giudicare e, dopotutto, la libertà di cui disponiamo è troppo spesso esercitata senza considerazione, senza rispetto.


Man mano che mi avvicino al rifugio, i Cadini lasciano progressivamente spazio alla magnificenza delle Tre Cime. L’ultima curva, che si apre sulla sinistra, conduce verso un rettilineo finale spalancato al cielo, dove la sagoma del rifugio si riflette idealmente sul versante meridionale delle Lavaredo. È uno spettacolo maestoso, senza fine: un palcoscenico completamente imbiancato, nel quale ritrovo, ancora una volta, quella sensazione di cambiamento che, “fortunatamente”, non dipende dall’uomo, ma unicamente dall’opera instancabile della Natura.



Al centro delle Lavaredo compare dolcemente il Rifugio Auronzo
Al centro delle Lavaredo compare dolcemente il Rifugio Auronzo


Dal Rifugio Auronzo visione verso i Cadini di Misurina (centro) e leggermente sulla destra il Sorapis
Dal Rifugio Auronzo visione verso i Cadini di Misurina (centro) e leggermente sulla destra il Sorapis


Al rifugio mi concedo una breve pausa. Un fermo immagine da questa terrazza imponente, che abbraccia le Dolomiti del territorio di Auronzo-Misurina e si spinge fino ai piccoli, lontani profili che arrivano addirittura al Piz Boè, nel gruppo del Sella. Chi conosce queste montagne, le riconosce anche da quei minimi dettagli che a molti sembrerebbero insignificanti.

C’è un po’ di gente al rifugio: chi, come me, si riposa dopo un paio d’ore di cammino salutare, chi, con gli sci, si prepara alla discesa e chi, il “popolo” delle motoslitte, sembra distratto, più interessato a selfie e social che alla visione naturale che qui, più che altrove, somiglia davvero a un Paradiso in terra.





Rifugio Lavaredo – 2344 m


La selezione inizia a farsi evidente. Fin dove arrivano le comodità, si concentra un considerevole numero di persone. Tutti si fermano al Rifugio Auronzo, come se oltre quel limite non esistesse altro. “Oltre” significherebbe intraprendere un nuovo cammino, che agli occhi di molti appare già fatica: un sentiero meno agevole, più solitario, oppure semplicemente l’oggetto di una completa indifferenza verso ciò che potrebbe trovarsi appena più in là. Non si guarda più oltre il proprio naso, e in fondo questo gioca a mio favore.


Lascio il rifugio imboccando il facile sentiero che, correndo alla base del versante meridionale delle Lavaredo, apre il sipario su una nuova dimensione. Pochi escursionisti, un numero esiguo che dà vita a questa naturale selezione. Ora non ci sono più rumori roboanti, né risate fragorose, né quel vociare esaltato che trovo stonato rispetto alla sacralità di questi luoghi.



La Croda dei Toni (sx) e il Valon de Lavaredo verso Auronzo di Cadore
La Croda dei Toni (sx) e il Valon de Lavaredo verso Auronzo di Cadore


La neve si fa via via più profonda e impegnativa. Sebbene il sentiero 101 sia stato già tracciato nei giorni passati, l’aumento della quota infonde nuovo vigore ai cumuli nevosi che si ispessiscono passo dopo passo. Guardo allora verso nuovi orizzonti: alle mie spalle il rifugio si dissolve nella distanza, lasciando spazio ai Cadini di Misurina, alle lontane Marmarole e alla Croda dei Toni. È un’unica vasta dimensione che ora si apre davanti ai miei occhi. La piccola chiesetta degli alpini, stretta tra le pareti imponenti di Cima Grande e Cima Piccola di Lavaredo, sembra un miracolo sospeso: un ricovero fragile sotto la guardia attenta di due colossi di pietra che, poco alla volta, iniziano a rivelare la più classica immagine delle Tre Cime.



Dal versante meridionale delle Lavaredo la piccola chiesetta degli alpini
Dal versante meridionale delle Lavaredo la piccola chiesetta degli alpini


Il cielo velato rende ogni colore tenue, quasi soffuso. Il sole appare come una grande fonte luminosa coperta da una tela sottile e opaca, mentre alcune gracchie, nel loro volo libero, sembrano voler condividere con me un frammento del loro mondo. Lasciata la chiesetta, l’emozione cresce: rende omaggio alla bellezza di queste immense pareti, alla loro eleganza severa. Gli ampi pianori che si aprono dinnanzi a me esaltano ancora di più la Croda dei Toni e il massiccio di Croda Passaporto, disegnando perfettamente il quadro di questa mia seconda parte di giornata.



Cima piccola di Lavaredo (dx)
Cima piccola di Lavaredo (dx)


Dentro questa nuova, bianca dimensione, compare infine un piccolo rifugio, isolato dal resto del mondo nel modo più naturale possibile: il Rifugio Lavaredo. Sembra protetto, quasi custodito, dai grandi massicci che gli fanno da scudo. Non soltanto dalla Cima Piccola, che ora si mostra nella sua forma più definita, ma anche dalla stessa Croda Passaporto, che nel mio immaginario si erge come eterna guardiana di questa fragile dimora umana. Il rifugio, chiuso durante l’Inverno, diventa il luogo perfetto per una pausa di metà giornata: qui, in questa stagione, la presenza di pochissime persone amplifica la sensazione di silenzio e ispirazione.



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Ma il momento della poesia lo rimando a più tardi. Lassù, più in alto, mi attende il punto fermo della mia giornata; per il Lavaredo, invece, l’appuntamento, pranzo compreso, è soltanto rimandato di poco.



I Cadini di Misurina: cattedrali di roccia...
I Cadini di Misurina: cattedrali di roccia...




Forcella Lavaredo – 2454 m


Salire ancora, anche solo di poco, e portarsi ai piedi di Cima Piccola è come entrare in un rapporto timido, quasi intimo, con questo tratto di roccia antica. Non seguo il sentiero turistico che si allunga verso la Passaporto: mi lascio guidare dall’istinto e risalgo un versante secondario, più diretto, che mi conduce ancora più vicino alle Tre Cime. È un sentiero poco battuto, leggermente più impegnativo di quanto ho affrontato finora, ma l’emozione di avvicinarmi così tanto a questa imponenza immutabile ripaga ogni sforzo.






È così che, in breve tempo, raggiungo la forcella. È così che, in un batter d’occhio, tocco il mio piccolo “nirvana”. L’imponenza del versante orientale delle Tre Cime non conosce rivali: è una delle due dimensioni naturali più affascinanti che questo luogo possa offrire, capace di sospendere il tempo in uno spazio che sfugge a qualsiasi descrizione. Solo dal lontano Rifugio Locatelli si può completare questo dittico di prospettive, così rare e così perfette nella loro unicità.

Da questo mio punto fermo respiro la forza di Cima Piccola, di Cima Grande e di Cima Occidentale: una visione che supera il concetto stesso di maestosità. La loro bellezza, la loro eleganza. Si innalzano dalla bianca distesa della Grava Longa e penetrano un cielo velato, come se la roccia volesse superare la frontiera sottile tra terra e aria.



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Mentre tutt’intorno la neve si accumula in morbidi rilievi, le pareti lisce delle Tre Cime sembrano sottrarsi all’abbraccio di questo elemento: rifiutano la neve, restano nude, intatte, inaccessibili. Un vento leggero, proveniente dalla Val Rinbon, porta con sé una luce limpida che amplia la mia vista su tutto ciò che si trova oltre le Lavaredo.

Qui, in questo punto per me perfetto, lascio mentalmente alle spalle le Dolomiti Bellunesi, mentre il mio sguardo si spinge lontano, verso le Dolomiti di Sesto. Oltre il Rifugio Locatelli riconosco il Monte Paterno, la Torre di Toblin, il Crodon di San Candido, il Sasso di Sesto e la Torre dei Scarperi, solo per citarne alcuni nel territorio geografico di Sesto. Sono custodi silenziosi di un mondo che, da quassù, sembra infinito.



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Un clima perfetto sembra quasi voler accompagnare, con la massima delicatezza, il mio passo dentro questa dimensione carica di un’energia quieta e benevola. Ciò che d’Estate anima la forcella con un incessante, indefinito brulichio di presenze umane, ora, nel silenzio che improvvisamente mi avvolge, lascia emergere l’anima pura delle Lavaredo, come se quelle cime eterne si confrontassero con l’immensità che le circonda. La loro mole, unita alla posizione privilegiata, conferisce loro un dominio assoluto su un territorio senza confini, dove l’orizzonte si apre in lontananze che sfuggono allo sguardo.


Tre volti di roccia rivolti verso un mondo pietroso che, dalla candida Val Rimbon, si innalza fino a straordinari altari e torrioni di Dolomia selvaggia: le Dolomiti di Sesto. Ho così tante domande da porre, tante speranze che proiettano il mio pensiero verso il futuro, e le affido a questi elementi eterni, a questa roccia che sembra esistere da sempre, priva di un’età definita. Mi viene naturale “approfittare” di questa occasione così preziosa, di questo incontro intimo con la montagna, dove l’assenza totale di altri esseri umani mi permette di scrutare le Tre Cime con un rigore più autentico, con sincerità, con quella pace interiore indispensabile a dare voce a ogni parte di me.


È un confronto forte, intenso, che si dilata nello sguardo rivolto a queste pareti imponenti, testimoni da milioni di anni di mutazioni ed evoluzioni che la nostra mente fatica persino a concepire. Altari di storia naturale, spuntoni e creste frastagliate che raccontano di glaciazioni, di creature straordinarie e di epoche remote in cui l’uomo forse solo di rado osava avvicinarsi.

Per ispirazione e per propositi profondi non avrei potuto chiedere scenario migliore. Sono momenti che si adagiano in una dimensione che, per ora, posso considerare più che compiuta. Il Rifugio Lavaredo mi attende per una pausa giusta e necessaria: porte e finestre sono ben serrate, pronte ad affrontare la durezza selvaggia dell’Inverno ormai imminente.






E anche qui, inevitabilmente, i miei pensieri tornano a ciò che il rifugio rappresenta per me: una sorta di dimora eterna, custode dei ricordi più belli. Ora la neve trasfigura ogni cosa. Le vedute sulle cime lontane, rivestite dal candore assoluto, conferiscono loro una fisionomia nuova, quasi estranea alle consuete sembianze. Mi concedo una pausa che dura il tempo sufficiente per ritornare a valle, osservare l’enrosadira accendersi sulle cime e la luna riflettersi, all’imbrunire, sui Cadini di Misurina, specchiati nel Lago d’Antorno.



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L’enrosadira è il momento in cui la montagna sembra trattenere il respiro. Quando il sole si abbassa verso l’orizzonte, le pareti di Dolomia si accendono lentamente, come se una fiamma silenziosa le percorresse dall’interno. Il bianco e il grigio lasciano spazio a sfumature di rosa, arancio e rosso che trasformano le cime in altari di luce effimera.

È un fenomeno che dura pochi istanti, ma in quei minuti si ha l’impressione che il tempo rallenti, che la natura voglia offrire un ultimo saluto prima della notte.






L’enrosadira non illumina soltanto la roccia: accende lo sguardo di chi osserva, risveglia emozioni profonde e invita al silenzio. È la montagna che parla senza parole, rivelando la sua anima più fragile e luminosa.


Le Tre Cime, la prima neve...





Stefano








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