Un cerchio meraviglioso alla scoperta della Tofana più bella.
Un eleganza che si dimostra dalla sua possanza, da quella grande e immensa parete che dal Passo Falzarego si innalza con grande violenza verso il cielo, verso quei suoi 3244m che in quella sua croce apre le porte di un Paradiso che si espande verso l’intero universo. La Rozes è magia, un attrazzione magnetica quasi impossibile da dominare, e che coinvolge tutti: dall’alpinista esperto e da chi, come me, per filosofia di vita ama camminare ai pedi di queste meravigliose montagne.
La notte porta con se un forte temporale lungo questa mia bellissima valle che dal Falzarego guarda verso l’Ampezzano, dove in lontananza il Sorapis e l’Antelao sembrano intenti a un lento risveglio. Un cielo azzurro che si colora di quell’aria fresca resa tonica da un sole brillante e che tutto ispira: in particolar modo la voglia di muovermi e di guardare verso la grande montagna con i giusti propositi. Una Natura ancora in silenzio, un silenzio dettato da istanti che non scandiscono nessuna tempistica e che rende il Cian Zopè un’isola di pace e serenità.
Baita Sotecordes – 2026m
Cian Zopè assieme all’Alpe di Sotecordes si compongono di fitti boschi dove da chissà quanto tempo una nutrita comunità di Camosci ha trovato quassù il perfetto habitat dove vivere, e dare di anno in anno nuove vite da dare alla luce mantenendo sicura quella catena riproduttiva in questo ambiente così perfetto. L’Alpe di Sotecordes poi raccoglie a se una piccola baita privata, che dai boschi di appartenenza si adagia su un grande e rigoglioso prato ai piedi della grande montagna. Dimostrazione per l’ennesima volta di ciò che è l’occhio attento da parte dell’uomo.
Quell’angolo di Paradiso perfetto, che nel nostro immaginario diviene un luogo dove fermarsi per l’eternità. Se da un lato la grande montagna prende piede tra questi suoi verdi prati, dal versante opposto tra i boschi le Cinque Torri, l’Averau e il Nuvolau sono quella terrazza panoramica perfetta, che ogni mattina alimenta di vita pura ogni giornata. Il silenzio rimane l’essenza naturale più importante. Un silenzio che va in contrasto unicamente con la piccola fontana adiacente alla baita, che per completare l’opera di un regalo meraviglioso vede anche l’avvicinamento di due Camosci. Manco per dirlo.
Sono attratti dall’acqua fresca della piccola fontana. Un bisogno che però trova ostacolo nella mia presenza. Non perdo tempo, zaino in spalla per questa mia prima pausa per poi seguire il mio sentiero e lasciare questo territorio che per Natura appartiene solo a loro.
Il Vallon de Tofana
La parte più impegnativa, quella parte che ora mi allontana definitivamente dalla quotidianità. Il Rifugio Dibona dista pochi minuti da quel cambio di sentiero che ora guarda verso l’immensità rocciosa dell’intero gruppo delle Tofane. Lassù, verso i versanti maggiori la Rozes nasconde altre realtà dove la roccia di Dolomia esprime i suoi lati più selvaggi e spettacolari. Una lunga serpentina che si adagia su di un ampio sentiero ben battuto, e che con il giusto impegno si avvicina e successivamente scorre alla base di campanili e guglie di roccia impressionante. Lascio dietro di me la lunga valle del Falzarego, dove da lontano non solo primeggiano i boschi naturali, ma apre anche punti di vista meravigliosi che si allargano verso la Croda da Lago, il Lastoi de Formin e le lontane vette del Pelmo, della Civetta e della Regina Marmolada.
Montagne che fanno parte di un passato recente e di un passato che mi riporta indietro nel tempo. Una piccola pausa di riflessione da parte mia durante la salita. Una pausa di riflessione dove i miei occhi si confrontano con la memoria in modo quasi spontaneo, inevitabile. Mi torna tutto familiare quasi all’improvviso. Una familiarità legata a quei momenti e a quelle prime esperienze lungo quei lontani versanti rocciosi. Il Pelmo come la Civetta, e la Croda da Lago come l’Averau. Tutto gira attorno a quei momenti ormai lontani ma che ora prendono vita come se tutto fosse accaduto ieri...
Ex Rifugio Cantore – 2542m
Questo improvviso ambiente lunare ha già “sedotto” le mie emozioni più belle. Mi sembra quasi che il mondo stesso sia composto unicamente da questo paesaggio arido e che sembra proiettarmi in epoche così lontane dove nemmeno l’uomo doveva ancora farvi parte. La mia è una fantasia che in certi frangenti vive così, dove nel mio immaginario cerco sempre di costruire un mondo tutto mio dove darmi l’opportunità di viaggiare nel tempo e cercare d’immedesimarmi in epoche che nessuno di noi ha visto con i propri occhi. Ma l’immaginazione ben presto lascia spazio alla verità, soprattutto quando questa verità guarda verso i momenti più tristi e ingiusti della nostra “recente” storia.
Ciò che rimane di questa recente storia sono i “ruderi” dell’ex Rifugio Cantore. Ruderi fino a un certo punto visto che due delle diverse strutture presenti sono ancora ben integre. Un rifugio che ha visto la bellezza di due guerre, divenendo inizialmente luogo di approvvigionamento e logistico per i soldati al fronte. Ciò che colpisce maggiormente non è solo la figura di un rifugio chiuso e abbandonato, cosa che nel rifugio vedo da sempre un grande valore legato alla montagna, ma anche la storia che guarda verso questi due esempi di ciò che non dovrebbe più essere: la guerra stessa.
Mura che alla meglio hanno accolto a se centinaia di giovani ragazzi. Mura che hanno fatto da riparo di fortuna a chi è stato costretto a combattere una guerra non voluta ma imposta. Mura che durante lunghi inverni sono ancora testimoni di sofferenza, dolore e morte. Mura che potrebbero raccontare tante di quelle storie da far rabbrividire anche chi di natura è privo di sensazioni ed emozioni. Momenti questi che dedico sempre, osservando e toccando con mano ogni possibile elemento. È come entrare all’interno di quella dimensione e di cercare di trovare anche delle risposte a troppe domande.
Ma tutto questo serve solo a me e non a chi ha in mano le chiavi del mondo intero.
Rifugio Camillo Giussani – 2580m
Ma il cammino è come la vita stessa, deve proseguire cercando sempre di guardare avanti anche con quel sottile filo di ottimismo con la speranza che tutto questo non possa più succedere. Il Rifugio Camillo Giussani apre così le porte a questa mia speranza, e anche quel forte desiderio di quel caffè e di quella fetta di torta che ora richiama la mia attenzione. E così sia, perchè se la qualità culinaria dei rifugi in alta quota non si discute, il luogo naturale che ospita questa mia “casa” in alta quota è un qualcosa d’ineguagliabile. Una terrazza panoramica dove quel caffè e quella stessa fetta di torta sembrano sparire quasi nel nulla, alla vista che guarda verso questo versante della Rozes e quella sua “quasi” impenetrabile vetta.
Dico quasi esprimendo un mio pensiero personale. La vetta certo, che si raggiunge seguendo un lungo e impegnativo sentiero, ma questa sua “impenetrabilità” nasce unicamente dal fatto che lassù sono io che devo ancora arrivarci.
Il cammino non è ancora arrivato a quel giro di boa che dovrebbe già proiettarti a quella seconda parte che per conoscenza personale riserva quelle sorprese e quei punti di vista che rendono unico questo trekking attorno alla Rozes. Dopo quella pausa di rito e quei momenti in cui i miei occhi “sprofondano” tra le irte pareti e nella roccia di questo versante, riprendere il cammino raccoglie in me quella consapevolezza in cui la Luna quassù sembra rispecchiarsi perfettamente nel mio eterno immaginario.
Il Masarè
La roccia prevale in un continuo susseguirsi di cambi di direzione, di punti panoramici che ora mi lascio alle spalle. Se il Vallon de Tofana ha aperto un lato selvaggio di questa mia giornata, il Masarè prosegue questa “tradizione” naturale di queste montagne. Un bellissimo cammino che su di un facile sentiero inizia lentamente a scendere in direzione di quei mondi sempre nuovi che in una giornata non mancano mai. Grandi massi bianchi, a esprimere al meglio la purezza della Dolomia, con la grande “piramide” del versante a Sud della Rozes che sembra accompagnarmi in modo protettivo.
A dire il vero è un magnetismo reciproco tra me e questa grande montagna. Quel magnetismo in cui la montagna stessa sembra richiamare contiunamente la mia attenzione, consapevole di non esserci mai salito nella sua sommità maggiore e che inevitabilmente da parte sua diviene un “invito” e da parte mia “l’intenzione” e la curiosità. Ma a ogni cosa ha un suo tempo, forse perchè nella mia mente dare tempo al tempo è come voler allungare maggiormente la mia vita stessa.
“Perchè oggi, e perchè domani se posso decidere di farlo anche fra qualche anno....”
Questo pensiero guarda avanti, a tornare a camminare nuovamente tra i sentieri della Grande Guerra che ora si identificano in piccoli fortini scavati tra in grandi massi naturali presenti. Quassù all’epoca era territorio Austro Ungarico dove gli stessi e poveri ragazzi di prima combattevano più per il freddo e le malattie che per le pallottole vaganti. Lavori disumani per cercare di rendere ciò che la Natura con i millenni ha creato in un “comodo” e possibile riparo da tutto.
In Val Travenanzes
Di poco rimane linea di confine naturale tra il Veneto e l’Alto Adige, tra le Dolomiti Bellunesi e la Val Badia. Una lunga spinale naturale che dai boschi sale in alta quota dando così vita ai grandi versanti rocciosi delle Dolomiti di Fanes e quell’angolo del Lagazuoi. Roccia friabile, rossa come il fuoco dove l’età di questo nostro mondo si rispecchia perfettamente. Lunghi canaloni erosi dal tempo e che con il passare degli anni lentamente prendono possesso della valle stessa. Una mutazione che assomiglia a quel lungo cammino d’invecchiamento che pure la nostra beneamata Terra inizia a soffrirne inevitabilmente.
Il Masarè mi lascia quell’ultimo tratto di discesa che diviene sempre più ripida, franosa, dove in quei frangenti alcune comode e sicure scalette agevolano questo passaggio finale. La Travenanzes rimane leggermente più a valle rispetto a quel cambio di direzione che tenendomi leggermente più in quota inizia quella fase in cui la base del versante Ovest della Rozes nasconde una delle più belle emozioni di giornata. Emozione certo, di quelle forti e che come un magnete ti attrae verso di se. Un’emozione che anche quest’anno ho la fortuna di vivere, di toccare con mano e che in una lunga caduta di circa 300m da vita alla Cascata della Rozes.
La forza dell’acqua che si infrange nella roccia. Un frastuono così forte da rendere qualsiasi dialogo ravvicinato quasi impossibile. Spruzzi di spuma bianca che il vento porta lontano e quell’istinto che mi porta inevitabilmente a raggiungere il punto di caduta, ai bordi di quella piscina naturale di acqua fresca e cristallina. Emozioni forti che si presentano di fronte a una bellezza dove la Natura per l’ennesima volta dimostra bellezza, eleganza e quella forza interiore che per l’ennesima volta mi fa sentire il nulla al cospetto di così tanta forza. Non è la prima volta che mi confronto con uno spettacolo come questo. E non sarà nemmeno l’ultima, con quella forte emozione che si percepisce quando vedi con i tuoi occhi un qualcosa mai visto prima.
Forcella Col dei Bos – 2331m
La mia cascata per ora rimane solo un ricordo da portare sempre con me. Identifica perfettamente la Natura in uno dei suoi aspetti migliori. Vengo così accolto da un nuovo territorio, da nuovi aspetti che vedono sempre questa mia Natura protagonista assoluta. La roccia selvaggia inizia così a dare maggior spazio ai verdi prati della Travenanzes, dove il versante a Ovest della Rozes si confronta con il suo opposto e che nei campanili rocciosi del Gran Lagazuoi completa maggiormente la bellezza di questo passaggio. Il paesaggio diviene sublime, selvaggio e carico di avventura. Mi sento leggermente stanco, sono diverse ore che sono in cammino e il mio fisico reclama giustamente la “fame”. Mangiare a sacco in questo luogo non ha eguali, soprattutto in quel luogo perfetto ai bordi del Ru Travevanzes e della sua acqua fresca disponibile.
Il sole rimane alto nel cielo, caldo e respirando tutta l’energia che l’Estate quassù trova maggior vigore. Piedi nudi e a mollo in questa serpentina vitale che dai versanti maggiori prende vita per scorrere l’intera Travenanzes fino alla lontana Val di Fanes. Meritato riposo prima di raggiungere Forcella Col dei Bos. Passaggio obbligato, crocevia che unisce a se diversi sentieri. Quelli che guardano verso Alpe di Sotecordes, Forcella Travenanzes e il Lagazuoi o verso il Castelletto (2367m) per entrare così nel “cuore” pulsante della Tofana di Rozes.
Il Col per me guarda verso il sentiero 412 che ora scende di quota e si accinge a chiudere la mia giornata. Torno così nuovamente a guardare verso quei versanti Ampezzani che mi hanno accolto al mattino. Dall’Averau fino giungere con lo sguardo verso il Sorapis e l’Antelao.
Non dimentico ciò che la Natura insegna e che con grande attenzione cerca di preservare. Entro nuovamente all’interno di quel territorio che da sempre è l’habitat perfetto per quei Camosci che identificano per l’ennesima volta quel mio spirito di libertà. È un bellissimo sentiero che scorre orizzontale, tra una serie di passaggi che tra questi boschi improvvisamente nascondono momenti che osservo come un regalo indimenticabile. La mia memoria mi porta sempre su di un paio di punti che di norma sono visti come il punto perfetto per alcuni esseri viventi di questi branchi. E la mia lentezza viene quasi da subito premiata, come la mia stessa pazienza.
Tre adulti e un paio di cuccioli, a ridosso di una grande masso roccioso e ricco di quella flora a loro necessaria per sopravvivere. Un paio di secondi per guardarsi tutti in modo reciproco, presi dalla stessa sorpresa nel trovarsi nell’immediato uno di fronte agli altri. Due secondi che sembrano un eternità e che con la stessa velocità che risulta insufficiente per fermare l’attimo per un’eternità tutta mia. È questione di così talmente poco per ritrovarmi da solo da capire l’importanza di questo ennesimo regalo, di questa ennesima emozione vissuta in questa mia giornata estiva. Baita Sotecordes mi accoglie nuovamente a se, per quella pausa di fine giornata tutta da “assaporare” su di questa sua terrazza panoramica.
Ora è solo questione di pochi minuti per giungere nuovamente al Cian Zopè, il punto perfetto da dove è iniziata questa mia giornata perfetta.
Stefano
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